Un libro per te
"C’era una volta… a Ravenna", storie e vicende raccontate da Franco Gàbici
Un libro che celebra la memoria, spesso divertita, per i luoghi e i personaggi della città
15 gennaio 2022 - C’era una volta… a Ravenna. Storie, personaggi, luoghi e curiosità di una antica capitale è l’ultima fatica di Franco Gàbici, pubblicata dalla Casa Editrice “Il Ponte Vecchio”.
È un libro che raccoglie storie e vicende di personaggi e di luoghi molto distanti nel tempo, oppure abbastanza recenti. È uno specchio delle tradizioni e della società di Ravenna ma, inevitabilmente, anche della Romagna.
Ho chiesto all’autore come e perché ha deciso di scrivere questo libro.
“Scrivo sul Carlino da più di cinquant’anni e con la mia “Lettera 22” e successivamente con il computer ho raccontato storie e curiosità della mia amata Ravenna. Da tanto i miei amici mi chiedono di raccogliere gli articoli, ormai molto numerosi, in un volume. E così mi sono deciso di soddisfare il loro desiderio. Ovviamente gli articoli sono stati tutti revisionati e ripuliti”.
I suoi racconti di Ravenna rappresentano una versione alternativa della storia della città che, pur facendo riferimento a momenti storici, contiene il gusto divertito della narrazione che stupisce e affascina.
Come nasce, chiediamo a Franco Gàbici, questa passione, questa tua memoria spesso divertita per i personaggi, i luoghi e i fatti della tua città?
“Quando ero piccolo giravo spesso per la città con il mio babbo e lui si fermava a spiegarmi i luoghi e gli eventi che vi erano accaduti. Io assorbivo tutto come una spugna e crescendo mi sono reso conto che avevo incamerato tutto ed era questo il materiale che faceva e, ancora oggi, fa crescere in me la curiosità, il confronto fra la Ravenna di ieri e quella di oggi. In seguito cominciai a scrivere partendo dal giornalino scolastico, Il Picchio, per poi avvicinarmi a L’Argine, alla Gazzetta di Ravenna e molto tempo dopo al Carlino”.
In questo libro non poteva non partire, Gàbici, dallo stemma e dal gonfalone della città e racconta che i colori giallo e rosso figuravano anche nello stemma dei da Polenta che governarono la città dalla metà del XIII secolo al 1441. Per il gonfalone, la cui esigenza emerge quando Ravenna è invitata a Firenze, il 14 maggio del 1865, per l’inaugurazione del monumento dedicato a Dante fu chiesto di confezionarlo a un tappezziere di Firenze che invece dei leoni ricamò due grifi. Si rimediò in tutta fretta chiedendo l’intervento di un pittore che dipinse due leoni che furono letteralmente appiccicati sul gonfalone.
In un capitolo incontriamo una contestazione: in risposta a quanto pubblicato da “Il Sole 24 Ore”, di una Ravenna triste, viene ricordato, in contrapposizione, come risale all’epoca dei re dei Goti la definizione della città come “Felix Ravenna”, impressa sulle monete. Conferma sottolineata da Santi Muratori e da Jacopo Landoni.
Gàbici racconta anche di un antico problema riguardante l’acqua potabile.
Il poeta Marco Valerio Marziale scrisse in uno dei suoi epigrammi che Ravenna era una città dove l’acqua potabile era più cara del vino. L’acqua potabile, infatti, era un bene prezioso che arrivò a Ravenna solamente il primo agosto del 1931: in Piazza del Popolo era stata costruita appositamente una fontana in gesso per far sgorgare l’acqua che proveniva da Torre Pedrera, ma non arrivava ancora nelle abitazioni e la gente doveva accontentarsi di attingerla da dodici fontanelle che erano state allestite in centro e in periferia.
Troviamo il racconto di momenti di svago, come al Ferragosto. Per i ravennati di una volta la giornata del 15 agosto chiudeva un triduo di date che scandiva le tappe fondamentali del calendario estivo: per Sant’Apollinare (23 luglio), infatti, si mangiavano i primi cocomeri, per San Lorenzo (10 agosto) si celebrava il rito dei primi bagni a Marina e, infine, il 15 agosto chiudeva l’estate in attesa della “burasca d’la Madona” (detta anche la burasca d’Sa’Lurenz) ricordata dal detto Par la Madona d’agost, e rinfresca e bosch.
A Ferragosto la strada per Marina era intasata dal traffico delle biciclette che si recavano alla spiaggia di buon’ora. Dalla fuga verso le spiagge l’autore, passa, divertito, alla stranezza nella scelta dei nomi. Si inventava nomi strampalati non tanto per fare uno sfregio al Padreterno, ma soprattutto per far dispetto al prete. E così un padre anarchico chiamò i suoi figli Ordigno e Dinamitarda e altri si sono visti affibbiare nomi come Anticlera, Antidio, Negadio e Diavolinda. Assai diffuso era anche Ateo.
Dai nomi strani a personaggi dalla vita molto particolare. Accadde al pensionato Antonio Fusconi, storico custode della Tomba di Dante, che dopo “quarantasei anni meno quattro mesi” lasciava per sempre il suo posto 38 di “sentinella di Dante”. Un servizio pressoché costante durante il quale Fusconi, che Sergio Zavoli definisce “il custode più famoso del mondo”, si ritagliò solamente quindici giorni di ferie. La sua, dunque, fu una vita interamente dedicata al grande poeta. Amico di Santi Muratori, don Giovanni Mesini e di Manara Valgimigli, per quasi mezzo secolo “vegliò” Dante in una stanzetta attigua alla tomba e durante le pause del suo lavoro si cimentava nella lettura della Divina Commedia.
Ogni capitolo del libro propone un racconto e una curiosità che, insieme, danno al lettore un quadro della società, delle tradizioni, delle abitudini, sottolineando anche i tanti famosi personaggi che hanno fatto la storia e la cultura di Ravenna. Utile per i giovani ravennati e per coloro che, come chi scrive, non sono nati in questa città, ma Gàbici sa affascinare e divertire anche coloro che attraverso questo libro possono rinfrescare i loro ricordi e rivivere momenti dimenticati.
Anna De Lutiis
© copyright la Cronaca di Ravenna
È un libro che raccoglie storie e vicende di personaggi e di luoghi molto distanti nel tempo, oppure abbastanza recenti. È uno specchio delle tradizioni e della società di Ravenna ma, inevitabilmente, anche della Romagna.
Ho chiesto all’autore come e perché ha deciso di scrivere questo libro.
“Scrivo sul Carlino da più di cinquant’anni e con la mia “Lettera 22” e successivamente con il computer ho raccontato storie e curiosità della mia amata Ravenna. Da tanto i miei amici mi chiedono di raccogliere gli articoli, ormai molto numerosi, in un volume. E così mi sono deciso di soddisfare il loro desiderio. Ovviamente gli articoli sono stati tutti revisionati e ripuliti”.
I suoi racconti di Ravenna rappresentano una versione alternativa della storia della città che, pur facendo riferimento a momenti storici, contiene il gusto divertito della narrazione che stupisce e affascina.
Come nasce, chiediamo a Franco Gàbici, questa passione, questa tua memoria spesso divertita per i personaggi, i luoghi e i fatti della tua città?
“Quando ero piccolo giravo spesso per la città con il mio babbo e lui si fermava a spiegarmi i luoghi e gli eventi che vi erano accaduti. Io assorbivo tutto come una spugna e crescendo mi sono reso conto che avevo incamerato tutto ed era questo il materiale che faceva e, ancora oggi, fa crescere in me la curiosità, il confronto fra la Ravenna di ieri e quella di oggi. In seguito cominciai a scrivere partendo dal giornalino scolastico, Il Picchio, per poi avvicinarmi a L’Argine, alla Gazzetta di Ravenna e molto tempo dopo al Carlino”.
In questo libro non poteva non partire, Gàbici, dallo stemma e dal gonfalone della città e racconta che i colori giallo e rosso figuravano anche nello stemma dei da Polenta che governarono la città dalla metà del XIII secolo al 1441. Per il gonfalone, la cui esigenza emerge quando Ravenna è invitata a Firenze, il 14 maggio del 1865, per l’inaugurazione del monumento dedicato a Dante fu chiesto di confezionarlo a un tappezziere di Firenze che invece dei leoni ricamò due grifi. Si rimediò in tutta fretta chiedendo l’intervento di un pittore che dipinse due leoni che furono letteralmente appiccicati sul gonfalone.
In un capitolo incontriamo una contestazione: in risposta a quanto pubblicato da “Il Sole 24 Ore”, di una Ravenna triste, viene ricordato, in contrapposizione, come risale all’epoca dei re dei Goti la definizione della città come “Felix Ravenna”, impressa sulle monete. Conferma sottolineata da Santi Muratori e da Jacopo Landoni.
Gàbici racconta anche di un antico problema riguardante l’acqua potabile.
Il poeta Marco Valerio Marziale scrisse in uno dei suoi epigrammi che Ravenna era una città dove l’acqua potabile era più cara del vino. L’acqua potabile, infatti, era un bene prezioso che arrivò a Ravenna solamente il primo agosto del 1931: in Piazza del Popolo era stata costruita appositamente una fontana in gesso per far sgorgare l’acqua che proveniva da Torre Pedrera, ma non arrivava ancora nelle abitazioni e la gente doveva accontentarsi di attingerla da dodici fontanelle che erano state allestite in centro e in periferia.
Troviamo il racconto di momenti di svago, come al Ferragosto. Per i ravennati di una volta la giornata del 15 agosto chiudeva un triduo di date che scandiva le tappe fondamentali del calendario estivo: per Sant’Apollinare (23 luglio), infatti, si mangiavano i primi cocomeri, per San Lorenzo (10 agosto) si celebrava il rito dei primi bagni a Marina e, infine, il 15 agosto chiudeva l’estate in attesa della “burasca d’la Madona” (detta anche la burasca d’Sa’Lurenz) ricordata dal detto Par la Madona d’agost, e rinfresca e bosch.
A Ferragosto la strada per Marina era intasata dal traffico delle biciclette che si recavano alla spiaggia di buon’ora. Dalla fuga verso le spiagge l’autore, passa, divertito, alla stranezza nella scelta dei nomi. Si inventava nomi strampalati non tanto per fare uno sfregio al Padreterno, ma soprattutto per far dispetto al prete. E così un padre anarchico chiamò i suoi figli Ordigno e Dinamitarda e altri si sono visti affibbiare nomi come Anticlera, Antidio, Negadio e Diavolinda. Assai diffuso era anche Ateo.
Dai nomi strani a personaggi dalla vita molto particolare. Accadde al pensionato Antonio Fusconi, storico custode della Tomba di Dante, che dopo “quarantasei anni meno quattro mesi” lasciava per sempre il suo posto 38 di “sentinella di Dante”. Un servizio pressoché costante durante il quale Fusconi, che Sergio Zavoli definisce “il custode più famoso del mondo”, si ritagliò solamente quindici giorni di ferie. La sua, dunque, fu una vita interamente dedicata al grande poeta. Amico di Santi Muratori, don Giovanni Mesini e di Manara Valgimigli, per quasi mezzo secolo “vegliò” Dante in una stanzetta attigua alla tomba e durante le pause del suo lavoro si cimentava nella lettura della Divina Commedia.
Ogni capitolo del libro propone un racconto e una curiosità che, insieme, danno al lettore un quadro della società, delle tradizioni, delle abitudini, sottolineando anche i tanti famosi personaggi che hanno fatto la storia e la cultura di Ravenna. Utile per i giovani ravennati e per coloro che, come chi scrive, non sono nati in questa città, ma Gàbici sa affascinare e divertire anche coloro che attraverso questo libro possono rinfrescare i loro ricordi e rivivere momenti dimenticati.
Anna De Lutiis
© copyright la Cronaca di Ravenna