«Abbiamo poco la concezione di cosa vuol dire l’allargamento dell’Unione Europea» | la CRONACA di RAVENNA

«Abbiamo poco la concezione di cosa vuol dire l’allargamento dell’Unione Europea»

Il Corso di laurea triennale in “Società e culture del Mediterraneo" ha organizzato una tre giorni dedicata ai Balcani e al loro rapporto con l'Italia

13 novembre 2023 - È stato un dibattito conclusivo ricco di spunti di riflessione, a chiudere la tre giorni ravennate dedicata ai Balcani e al loro rapporto con l’Italia: organizzata dal Corso di Laurea triennale in “Società e culture del Mediterraneo, istituzioni, sicurezza e ambiente” coordinato dal professor Michele Marchi.
Fra i relatori dell’ultima sessione, intitolata a “Italia e Balcani nel tempo della nuova centralità mediterranea”, la più giovane era Sabina de Silva, in rappresentanza del Cespi, il Centro Studi di Politica Internazionale diretto da Daniele Frigeri. All’interno del Centro, Sabina (che è anche dottoranda in Istituzioni e politiche all’Università Cattolica di Milano) coordina il progetto del Focus Balcani, attivo già da due anni, che si occupa di analisi della geopolitica balcanica e del processo di allargamento europeo.

Come le è sembrato il livello della discussione, e quali sintesi si potrebbe trarre dal dibattito a cui ha partecipato?
Il livello è stato altissimo. Così come è stato interessante il confluire di tanti punti di vista diversi, dati dalle differenti esperienze e dai vari ambiti di competenza di tutti i partecipanti. Se devo trarre una conclusione sintetica, dal dibattito mi pare emerga chiaramente che sia nella società civile italiana che a livello di istituzioni politiche, l’attenzione sui Balcani Occidentali è molto alta. L’interesse strategico della penisola è notevole, sia a livello macro, ovvero di Unione Europea, che nello specifico ambito italiano.

Quali sono i motivi principali di questo interesse? Quali gli aspetti più problematici?
La prima incertezza riguarda la prospettiva di allargamento della UE, che ci costringerà a rivedere anche i meccanismi di funzionamento europeo (ad esempio la regola dell’unanimità, che si sta valutando se modificare in relazione a determinati settori, come le votazioni sull’allargamento o la sicurezza) per evitare l’immobilismo istituzionale.
Un secondo settore di preoccupazione è il fatto che la membership europea non è di per sé una garanzia di mantenimento della democraticità: ci sono stati esempi recenti di involuzione – penso a Ungheria e Polonia - e si teme che questo possa accadere anche in altri paesi, una volta entrati nell’Unione. E il dibattito verte sul sistema di sanzioni, in primis quelle conomiche, per capire se siano o meno efficaci.

In tutto questo, come può incidere l’attuale situazione in Medio Oriente?
Questo è il terzo grande allarme. È improbabile pensare che si tratti di un conflitto relegabile ai confini regionali: le ripercussioni geopolitiche sono globali. In Bosnia, ad esempio, larga parte della popolazione è musulmana, anche se moderata e moderna, ma i conflitti israeliani hanno solleticato le divisioni etniche esistenti. Si teme ci possano essere foreign fighters, o comunque che quel che sta accadendo in Israele possa sollecitare l’estremismo anche nel cuore dei Balcani. Basti ricordare che l’Italia, lo scorso 20 ottobre, ha reintrodotto i controlli alla frontiera con la Slovenia - la quale a sua volta li ha reintrodotti con l’Ungheria - per porre uno sbarramento a questo rischio sulla rotta balcanica.

Più in generale, dal suo osservatorio, com’è oggi la situazione nei Balcani?
Premetto che si tende a parlarne spesso come un unico blocco, ma in quell’area ci sono paesi molto diversi fra loro, anche come stadio di integrazione europea. Alcuni – l’Albania, la Macedonia del Nord – sono molto avanti, non a caso sono i due che hanno già lo status di paese candidato a entrare nella UE. Altri casi fanno sperare in miglioramenti della situazione: ad esempio, pochi giorni fa il Montenegro ha finalmente formato un governo di coalizione, a cinque mesi dalle elezioni. La situazione più preoccupante è quella fra Serbia e Kossovo, perché i vari tentativi di mediazione dell’Unione Europea non sono andati a buon fine, e anche nei meeting separati fra i leader (guidati da Italia, Francia e Germania) la proposta di un’associazione di Comuni a base serba nel nord del Kossovo è stata rigettata da entrambe le parti.
Va detto che di recente, durante il vertice di Tirana, la UE ha concordato un nuovo piano economico stanziando sei miliardi (a fondo perduto o con prestiti condizionati) destinati all’intera regione, per avvicinare l’economia dei Balcani agli standard dell’economia europea.

Infine, come giudica un incontro come quello a cui ha partecipato all’interno dell’attività di un Corso di Laurea, come quello ravennate?
Mi pare sia stato un evento assolutamente positivo, visto che il fine ultimo di un’Università è quello di formare gli studenti su scenari attuali e futuri. Al tempo stesso, è bello che un dibattito di questo tipo possa anche uscire dall’ambiente universitario, perché questi sono temi che ci riguardano da vicino. Noi cittadini europei abbiamo poco la concezione di cosa vuol dire l’allargamento dell’Unione Europea: fornire una visione su questi temi è molto importante. Bisognerebbe renderli ancora più appetibili al grande pubblico, renderli quanto più dinamici e inclusivi possibile.


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