Sopra le righe
“La didattica a distanza resti soluzione d’emergenza”
Il dirigente scolastico Gianluca Dradi e la scuola al tempo del coronavirus. Il prossimo anno? Una complessità enorme
27 maggio 2020 - Da un lato la situazione attuale della scuola, completamente stravolta dal coronavirus: didattica a distanza, promozioni praticamente garantite a tutti, esami di maturità in maniera inedita. Dall’altra le prospettive ancora molto vaghe per la ripresa di settembre: smart working a metà, settimane alterne, forse potenziamento dei docenti…
La scuola, insomma, è stata uno dei settori maggiormente stravolti dalla pandemia: perché, a differenza di altri, non era possibile chiudere tout court. Ma nessuno ha le ricette in tasca: neanche Gianluca Dradi, preside del Liceo Scientifico “Oriani” di Ravenna, che pure è stato spesso all’avanguardia in questi anni, per soluzioni concrete e lungimiranza di vedute…
Preside, che anno è quello che sta per chiudersi? Come si può valutare?
Se parlo della mia scuola, il giudizio complessivamente è positivo, fermo restando che la didattica a distanza va vista come soluzione emergenziale.
E’ positivo perché abbiamo coperto sin dal 25 febbraio tutte le ore di lezione, in tutti i giorni, sostanzialmente per tutti gli studenti; conto sulle dita di una mano i casi di frequenze molto saltuarie, riconducibili a problematiche oggettive di assenza di device – poi risolte attraverso il prestito dei computer da parte della scuola – o in parte per alcune problematiche psicologiche di qualche studente che ha vissuto male l’isolamento e la modalità a distanza. Ma nel complesso abbiamo svolto il programma in maniera sostanzialmente completa, anche modificando i criteri di valutazione ad aprile, perché era difficile mantenerli uguali a distanza. Insomma, abbiamo fatto il nostro: per questo il bilancio è positivo.
Ma la fatica è tanta?
Si, questa modalità è più faticosa per tutti. Per gli studenti, a cui è richiesta più concentrazione e autodisciplina, e anche maggiore forza interiore: perché la solitudine, pur colmata dall’interlocuzione a distanza, è un problema. Per i docenti, perché chi ha svolto bene il lavoro ha dovuto fare maggiori attività di preparazione, connettendosi ai devices per diverse ore al giorno, e non è molto appagante parlare al monitor di un computer, talvolta senza vedere chi sta dall’altra parte.
Ma è stato impegnativo – e di solito non lo si sottolinea – anche per i dirigenti: in tre mesi, abbiamo dovuto smaltire la bellezza di sei decreti legge, che in sede di conversione sono poi stati modificati; di 11 Dpcm; di tre direttive e circolari della funzione pubblica; di una decina di note ministeriali: una mole di normativa difficile da smaltire. In più l’organizzazione del lavoro altrui: quella collegiale dei docenti, lo smart working del personale Ata, gli accordi sindacali vari, i rapporti con l’ufficio scolastico regionale, l’Ausl, la formazione… Insomma, è stato difficile per tutti e tutti siamo affaticati.
E adesso vi aspetta la fine della scuola, con la maturità…
Questo è un capitolo a parte. E’ prevalsa dal Ministero, ma anche in tanti commentatori illuminati, una visione romantica della scuola: con l’idea del rito di passaggio da celebrare necessariamente in presenza; qualcuno chiede anche di passare l’ultimo giorno assieme. Ma non sono adeguatamente tenuti in considerazione i rischi e gli sforzi organizzativi, che sono notevoli.
Basti pensare, per la maturità, che dobbiamo seguire il Protocollo di sicurezza nazionale, l’intesa fra sindacati e Ministero sui quali effettuare la contrattazione integrativa di istituto; poi organizzare la pulizia, la sanificazione, le mascherine, l’allestimento degli spazi; e c’è da gestire la problematica dei lavoratori “fragili”, che per età (dai 55, quindi la maggioranza) o per problematiche sanitarie, possono esser considerati a rischio.
Quindi non sarà semplice, è prevedibile che ci saranno varie defezioni al momento giusto, e la necessità di trovare sostituzioni non facili. Tutto questo, con il rischio che qualcuno poi si ammali, e le conseguenti responsabilità che sono in capo a noi dirigenti, perché siamo datori di lavoro pubblici e dobbiamo garantire la sicurezza dei lavoratori…
Almeno, io dico, evitiamo l’inutilità dell’ultimo giorno di scuola, per quanto carino. Mi pare sproporzionato lo sforzo organizzativo e la sottoposizione ad un rischio non piccolo, per un giorno simbolico.
E il prossimo anno? Come si riprenderà?
Per ora sappiamo quel che si legge sulla stampa. Anche qui si prevede una seria complessità da gestire: tenere la distanza di un metro e mezzo fra gli studenti, garantire l’igienizzazione, gli ingressi scaglionati, alternare grossomodo metà classe in presenza e metà on line.
Bene: io ho oltre 1100 studenti e 49 classi, in modo approssimativo posso dire una media di 24 alunni per classe. Bisogna, su due sedi, organizzare chi entra alle 8, chi alle 8.15, chi alle 8.30 e via così fino alle 9, per portarne in classe la metà, pensando peraltro che non in tutte le aule ho un metro e mezzo di distanza fra tutti; l’altra metà dovrà seguire la didattica a distanza e quindi alternare i turni. Uno sforzo organizzativo enorme. Ma prima di arrivarci c’è tutto il resto: la maturità, gli esami preliminari per i candidati esterni da fare a metà luglio, ad agosto le nomine dei supplenti… e la nostra – come dicevo all’inizio - è una scuola che funziona: ma in Italia non è tutto così.Spero, almeno, che questa vicenda del virus e dei suoi impatti sulla vita della scuola costituisca una buona occasione, per la politica, per ripensare a tante cose: una nuova edilizia scolastica funzionale alla didattica laboratoriale e per competenze, il superamento del digital divide, nuove regole per l’assegnazione e la stabilità degli organici e la formazione delle classi, nuove norme contrattuali per i docenti ed altro ancora.
© copyright la Cronaca di Ravenna
La scuola, insomma, è stata uno dei settori maggiormente stravolti dalla pandemia: perché, a differenza di altri, non era possibile chiudere tout court. Ma nessuno ha le ricette in tasca: neanche Gianluca Dradi, preside del Liceo Scientifico “Oriani” di Ravenna, che pure è stato spesso all’avanguardia in questi anni, per soluzioni concrete e lungimiranza di vedute…
Preside, che anno è quello che sta per chiudersi? Come si può valutare?
Se parlo della mia scuola, il giudizio complessivamente è positivo, fermo restando che la didattica a distanza va vista come soluzione emergenziale.
E’ positivo perché abbiamo coperto sin dal 25 febbraio tutte le ore di lezione, in tutti i giorni, sostanzialmente per tutti gli studenti; conto sulle dita di una mano i casi di frequenze molto saltuarie, riconducibili a problematiche oggettive di assenza di device – poi risolte attraverso il prestito dei computer da parte della scuola – o in parte per alcune problematiche psicologiche di qualche studente che ha vissuto male l’isolamento e la modalità a distanza. Ma nel complesso abbiamo svolto il programma in maniera sostanzialmente completa, anche modificando i criteri di valutazione ad aprile, perché era difficile mantenerli uguali a distanza. Insomma, abbiamo fatto il nostro: per questo il bilancio è positivo.
Ma la fatica è tanta?
Si, questa modalità è più faticosa per tutti. Per gli studenti, a cui è richiesta più concentrazione e autodisciplina, e anche maggiore forza interiore: perché la solitudine, pur colmata dall’interlocuzione a distanza, è un problema. Per i docenti, perché chi ha svolto bene il lavoro ha dovuto fare maggiori attività di preparazione, connettendosi ai devices per diverse ore al giorno, e non è molto appagante parlare al monitor di un computer, talvolta senza vedere chi sta dall’altra parte.
Ma è stato impegnativo – e di solito non lo si sottolinea – anche per i dirigenti: in tre mesi, abbiamo dovuto smaltire la bellezza di sei decreti legge, che in sede di conversione sono poi stati modificati; di 11 Dpcm; di tre direttive e circolari della funzione pubblica; di una decina di note ministeriali: una mole di normativa difficile da smaltire. In più l’organizzazione del lavoro altrui: quella collegiale dei docenti, lo smart working del personale Ata, gli accordi sindacali vari, i rapporti con l’ufficio scolastico regionale, l’Ausl, la formazione… Insomma, è stato difficile per tutti e tutti siamo affaticati.
E adesso vi aspetta la fine della scuola, con la maturità…
Questo è un capitolo a parte. E’ prevalsa dal Ministero, ma anche in tanti commentatori illuminati, una visione romantica della scuola: con l’idea del rito di passaggio da celebrare necessariamente in presenza; qualcuno chiede anche di passare l’ultimo giorno assieme. Ma non sono adeguatamente tenuti in considerazione i rischi e gli sforzi organizzativi, che sono notevoli.
Basti pensare, per la maturità, che dobbiamo seguire il Protocollo di sicurezza nazionale, l’intesa fra sindacati e Ministero sui quali effettuare la contrattazione integrativa di istituto; poi organizzare la pulizia, la sanificazione, le mascherine, l’allestimento degli spazi; e c’è da gestire la problematica dei lavoratori “fragili”, che per età (dai 55, quindi la maggioranza) o per problematiche sanitarie, possono esser considerati a rischio.
Quindi non sarà semplice, è prevedibile che ci saranno varie defezioni al momento giusto, e la necessità di trovare sostituzioni non facili. Tutto questo, con il rischio che qualcuno poi si ammali, e le conseguenti responsabilità che sono in capo a noi dirigenti, perché siamo datori di lavoro pubblici e dobbiamo garantire la sicurezza dei lavoratori…
Almeno, io dico, evitiamo l’inutilità dell’ultimo giorno di scuola, per quanto carino. Mi pare sproporzionato lo sforzo organizzativo e la sottoposizione ad un rischio non piccolo, per un giorno simbolico.
E il prossimo anno? Come si riprenderà?
Per ora sappiamo quel che si legge sulla stampa. Anche qui si prevede una seria complessità da gestire: tenere la distanza di un metro e mezzo fra gli studenti, garantire l’igienizzazione, gli ingressi scaglionati, alternare grossomodo metà classe in presenza e metà on line.
Bene: io ho oltre 1100 studenti e 49 classi, in modo approssimativo posso dire una media di 24 alunni per classe. Bisogna, su due sedi, organizzare chi entra alle 8, chi alle 8.15, chi alle 8.30 e via così fino alle 9, per portarne in classe la metà, pensando peraltro che non in tutte le aule ho un metro e mezzo di distanza fra tutti; l’altra metà dovrà seguire la didattica a distanza e quindi alternare i turni. Uno sforzo organizzativo enorme. Ma prima di arrivarci c’è tutto il resto: la maturità, gli esami preliminari per i candidati esterni da fare a metà luglio, ad agosto le nomine dei supplenti… e la nostra – come dicevo all’inizio - è una scuola che funziona: ma in Italia non è tutto così.Spero, almeno, che questa vicenda del virus e dei suoi impatti sulla vita della scuola costituisca una buona occasione, per la politica, per ripensare a tante cose: una nuova edilizia scolastica funzionale alla didattica laboratoriale e per competenze, il superamento del digital divide, nuove regole per l’assegnazione e la stabilità degli organici e la formazione delle classi, nuove norme contrattuali per i docenti ed altro ancora.
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