"Tutele e qualità del lavoro al centro di un nuovo progetto ravennate" | la CRONACA di RAVENNA

"Tutele e qualità del lavoro al centro di un nuovo progetto ravennate"

Intervista a Marinella Melandri, neo segretaria generale della Cgil

05 dicembre 2020 - E’ la prima donna nella storia ad essere stata nominata segretaria generale della CGIL di Ravenna. Una nomina convinta (il 93% dei voti a favore) per Marinella Melandri: fusignanese, sindacalista da 23 anni, con una lunga esperienza nell’ambito della Funzione Pubblica. Prende il posto che è stato per due mandati di Costantino Ricci, e lo fa in un momento storico indubbiamente delicato.

Marinella, qual è oggi il ruolo del sindacato? Come lo avverte l’opinione pubblica?
“Dire come ci vede l’opinione pubblica, è complesso. Spesso il sindacato è percepito come un luogo - davvero un luogo - in cui si va per chiedere un servizio. Poi, varcando la soglia delle nostre sedi, ci si rende conto che ci sono sì dei servizi, ma anche tante altre cose: soprattutto la ricerca di trovare soluzioni a problemi che vanno al di là delle domande iniziali. Quindi comunque è un punto di riferimento per ottenere diritti, non solo individuali ma anche collettivi. Quel che a volte viene percepito come diritto individuale, una volta varcata quella soglia, si capisce che si conquista solo con una visione collettiva”.

Siamo in una terra in cui la visione collettiva è radicata. Lo è anche oggi?

“Si, qui è la nostra attività è principalmente di contrattazione. Il nostro “core business” è di natura collettiva, di rappresentanza. Siamo ancora radicati sul territorio, siamo presenti più o meno in tutte le aziende e comunque nelle più strutturate, e il nostro ruolo di rappresentanza affonda le sue radici proprio in questa presenza. Quasi 75 mila iscritti a livello provinciale sono il senso che siamo presenti nella stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro. Che pure, nel tempo, sono molto cambiati: non abbiamo più solo la fabbrica o i campi, ma un mondo del lavoro polverizzato in tanti luoghi di lavoro diversi. Con il fenomeno degli appalti che è esploso: e rappresenta – dal mio punto di vista – una delle frontiere più complesse per il sindacato in questi anni. Si intrecciano tanti fattori: il lavoro povero, lo sfruttamento, i fenomeni border line, l’irregolarità, la criminalità organizzata…”.

Sempre più spesso c’è “invidia” verso chi ha un lavoro pubblico, o comunque sicuro, mentre cresce il mondo dei lavori poco tutelati e delle partite Iva.

“Rispondo con una considerazione di fondo: non esiste tutela del più debole senza tutela del più forte. Il sindacato confederale poggia le sue basi sulla solidarietà. E dalle battaglie nate nei luoghi di lavoro più forti, dove si potevano esercitare i rapporti di forza, sono nate quelle rivendicazioni che hanno consentito anche a chi era più debole di acquisire un miglioramento. Se questa è la storia del sindacato, oggi dobbiamo continuare esattamente in quella direzione: non possiamo permetterci di entrare nel tranello di tutelare un lavoratore e non l’altro. Noi dobbiamo tenere insieme tutto questo. Il paradosso è che sempre più spesso convivono, nello stesso luogo di lavoro, lavoratori con una storia più strutturata, ed altri meno. Questo evidenzia incoerenze che sono frutto della storia del mercato del lavoro, e con cui dobbiamo fare i conti. In una fase storica come l’attuale, non possono essere diminuiti i diritti di chi ha qualcosa in più. Il processo dev’essere inverso”.

Servono strumenti nuovi?

“Il mondo del lavoro è talmente modificato che anche lo Statuto dei Lavoratori non è più sufficente: avremmo la necessità di individuare un livello minimo di diritti, riconosciuti in funzione non del tipo del lavoro, ma per il semplice fatto che una persona lavora. Pe questo da tempo, come Cgil, abbiamo costruito una proposta di normativa del lavoro di iniziativa popolare, già depositata in Parlamento”.

Torniamo a Ravenna. Che territorio è, dal punto di vista sindacale?
“Il mio metro di paragone è quello della dimensione regionale, che conosco bene. Ravenna ha sempre avuto relazioni positive, anche se con scontri duri, sia con le altre rappresentanze che con le istituzioni. E’ anche vero che il nostro è un territorio un po’ chiuso, che fatica a relazionarsi con il mondo esterno, anche per un fatto storico: in questa fase dobbiamo pensare a costruire un nuovo modello di sviluppo che si relazioni maggiormente con altri territori, con la Regione, anche con l’Europa. In un mondo in cui le distanze sono sempre minori – grazie sia alle infrastrutture fisiche che a quelle digitali – è sempre più importante aprirsi e relazionarsi, ma avendo al tempo stesso un’idea forte del territorio. Ravenna ha temi caratterizzanti – la chimica, l’energia, con l’evoluzione importante che deve attraversare questi settori -può essere il soggetto trainante di questa trasformazione, da fare in tempi molto veloci. Per farlo in modo efficace, al centro deve andare la tutela e la qualità del lavoro. Abbiamo professionalità qualificate, che possono essere al servizio di un progetto collettivo importante”.

Un’ultima, inevitabile domanda. Come cambia il modo di fare sindacato al tempo del Covid?

“Cambia in maniera assoluta. Da un lato perché dobbiamo affrontare sfide nuove, le ricadute occupazionali della crisi, già viste in parte quest’estate, con i lavori stagionali – parlo di turismo, o di agricoltura. Ci sono stati meno rapporti di lavoro, più brevi, lavoro grigio, lavoro nero: avremo ricadute in termini di ammortizzatori sociali. Anche chi era abituato va in difficoltà: bisogna vedere come evolveranno i mercati…
L’altro aspetto riguarda soprattutto le aziende più strutturate: per ora c’è il blocco dei licenziamenti, fino a marzo. Superata l’estate abbiamo registrato una ripresa della Cassa integrazione, che oggi interessa circa 6 mila lavoratori su scala provinciale: la grande incognita è capire cosa succederà alla fine del blocco dei licenziamenti. E’ indispensabile che vengano definiti strumenti di accompagnamento, che ci sia una riforma. Altrimenti rischiamo un down che può trasformarsi in una crisi sociale. Speriamo invece in una ripresa sostenuta dagli investimenti”.


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