Cultura
Muti e la Cherubini chiudono tra gli applausi Ravenna Festival 2022
La premiazione della fotografa Silvia Lelli. Due musicisti ucraini tra i componenti dell'orchestra. Pala De André gremito da 2500 spettatori
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Il programma offriva musiche dell’Ottocento che non vengono eseguite di frequente: la smagliante sinfonia “Roma” di Georges Bizet, l’autore della “Carmen”, e due poemi sinfonici, “Il lago incantato” del russo Anatolij Ljadov, con le sue atmosfere evanescenti e misteriose, e “Les Préludes” di Franz Liszt, brano di forti contrasti e fragorose accensioni. Muti ha illuminato i tre lavori con la sua straordinaria capacità di cogliere il senso riposto in ogni nota delle partiture, e la Cherubini l’ha assecondato con una prestazione di altissimo livello.
Al centro della serata, il Premio Ravenna Festival è stato consegnato alla fotografa Silvia Lelli dallo stesso Muti e dai due direttori artistici Franco Masotti e Angelo Nicastro. Famosa nel mondo per le sue foto di spettacolo, Silvia Lelli da molti anni lavora con il Festival ed è tra l’altro autrice delle più belle immagini di Muti in circolazione. È un’artista dallo stile “sobrio e antiretorico”, come spiegato nelle motivazioni del Premio; ha inventato assieme al marito e compagno d’arte Roberto Masotti, scomparso nello scorso mese di aprile, “un nuovo modo di interpretare e documentare lo spettacolo dal vivo, entrando in relazione profonda con l’artista”.
Dopo gli applausi e le chiamate finali, Muti ha spiegato che i nazisti avevano fatto un pessimo uso di un passaggio dei “Préludes” di Liszt, usandolo per annunciare le loro vittorie alla radio tedesca; ma non avevano capito niente perché quel tema (noto a molti italiani di una certa età, aggiungiamo noi, per essere stato la sigla della trasmissione televisiva “Almanacco”) nelle intenzioni del compositore evoca invece l’“inno sconosciuto, la cui prima e solenne nota è intonata dalla morte”, che segue a quella continua serie di preludi che è la vita.
Riccardo Muti ha poi concesso un bis, il bellissimo Intermezzo dalla “Fedora” di Umberto Giordano, dedicandolo con una sfumatura di divertita ironia “all’Emilia-Romagna, terra che pensa di sapere molto dell’opera. E scusate se Giordano era di Foggia”.
Patrizia Luppi
© copyright la Cronaca di Ravenna
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