"Il labirinto delle nebbie", un mistero irrisolto nel terzo romanzo di Matteo Cavezzali. INTERVISTA | la CRONACA di RAVENNA

"Il labirinto delle nebbie", un mistero irrisolto nel terzo romanzo di Matteo Cavezzali. INTERVISTA

Il racconto è ambientato nel Parco del Delta del Po in un villaggio paludoso chiamato Afunde all'inizio del novecento

14 luglio 2022 - Il parco del Delta del Po, con i suoi angoli più nascosti e selvatici, fa da sfondo al mistero di cui si parla in ‘Il labirinto delle nebbie’, il terzo romanzo di Matteo Cavezzali. Lo scrittore ravennate, ha già scritto infatti ‘Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini’, la storia del noto imprenditore per cui ha vinto il Premio Comisso e il Premio Volponi, e ‘Nero d’inferno’ in cui racconta la figura di Mario Buda, l’anarchico italiano emigrato negli Usa che fece saltare in aria Wall Street. Nel suo ‘carnet’, ci sono anche ‘Supercamper. Un viaggio scritto nella saggezza del mondo’, scritto durante la pandemia, e ‘A morte il tiranno” da cui è stato tratto l’omonimo podcast, pubblicati entrambi l’anno scorso.
Le prime presentazioni del libro si terranno il 20 luglio alle 21 alla biblioteca di Castel Bolognese e il 27 luglio alle 21.30 al bagno Hana-Bi di Marina di Ravenna con Gianni Gozzoli.


Cavezzali, in quale misura questo nuovo romanzo edito da Mondadori è diverso dai primi due?
«Si tratta in tal caso del primo romanzo ‘puro’, dove non racconto una storia vera. Va detto però che lo spunto iniziale è qualcosa che è accaduto davvero nel parco del Delta del Po, dove amavano rifugiarsi anarchici e dissidenti. Un’area ‘calda’ che il governo pensò bene di ripulire con lo scoppio della Grande Guerra, chiamando tutti gli uomini al fronte».

Il romanzo si concentra sul primo dopoguerra ed è ambientato in un villaggio paludoso chiamato Afunde…
«Sì. Lì vivono sole donne, perché nessun uomo è sopravvissuto al fronte. Insidie, nebbie e cupe storie circondano il villaggio, mentre i suoi edifici sprofondano ogni giorno di più nel terreno fangoso. Quando viene trovata morta Angelina, con un misterioso simbolo sul collo, comincia una vera e propria battuta di caccia al suo assassino dentro i labirintici percorsi della palude».

Per risolvere il caso viene chiamato l’ispettore Bruno Fosco. Chi è?

«È un uomo tornato vivo dal fronte, ma non è più lo stesso di quando è partito. Probabilmente è anche per questo che accetta di andare a lavorare ai confini del mondo, in un paese in cui incombe l’eredità di violenza che la guerra ha lasciato dietro di sé».

Ormai ‘sforna’ libri ogni anno. Ha già altri libri nel cassetto?
«Non proprio. Diciamo che sul mio computer ho l’inizio di almeno 8 romanzi e può darsi che uno di loro vedrà la luce. D’altra parte con ‘Il labirinto delle nebbie’ è capitato così: avevo scritto le prime tre pagine cinque anni fa, poi l’ho ripreso quando la storia si era completata nella mia mente, quando era il momento giusto».

Lei fa parte della schiera di scrittori mattinieri o nottambuli?
«Non mi riconosco in nessuna schiera… Cerco di scrivere ogni giorno, senza sapere se poi il materiale prodotto verrà mai usato. Se ho una giornata libera, inizio già la mattina. Se invece ho impegni, lo faccio la sera, perché mi aiuta a prendere sonno e mi fa stare più tranquillo… In generale, comunque, ogni momento della giornata è buono».

Oltre che scrittore, è ideatore e curatore di vari festival letterari, in primis “ScrittuRa Festival”, una cosa inconsueta… Com’è il suo rapporto con gli altri scrittori?

«Ottimo perché trovo che il confronto sia estremamente arricchente. D’altra parte ho iniziato ancor prima di scrivere, proprio perché sognavo chiedere loro di svelare alcuni dei loro segreti… So che non lo avrebbero mai fatto in privato, ma se intervistati su un palco davanti a un pubblico, sì. Nel tempo il festival si è sviluppato e sono molto felice che ora la letteratura abbia trovato il suo spazio a Ravenna, dove già erano più affermati la musica e il teatro».

Di recente ha iniziato anche a insegnare ai ragazzi nelle scuole. Si può imparare a scrivere?
«Come in tutti i mestieri, molte cose si possono apprendere anche perché la scrittura è una forma molto artigianale, e ci sono diversi modi di affrontarla. Insegnare la scrittura è come il dito che guarda la luna, per cui non bisogna però fermarsi al dito… La scrittura, a prescindere dal farlo di mestiere con articoli, racconti o libri, è poi anche una forma d’arte che aiuta molto a confrontarsi con se stessi. A livello personale, con la scrittura, ho imparato a rapportarmi a una parte sommersa di me, cosa che ad alta voce non potrei fare».
r.b.


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