Nella guerra dei sandali vince Silvagni, Birkenstock ko in tribunale | la CRONACA di RAVENNA

Nella guerra dei sandali vince Silvagni, Birkenstock ko in tribunale

La Corte di Giustizia Europea ribadisce l'estraneità dell'imprenditore lughese della Goldstar-Valleverde da qualsiasi concorrenza sleale

26 marzo 2021 - Un Davide romagnolo contro un Golia tedesco. Da una parte la Birkenstock, colosso germanico delle calzature; dall’altro l’azienda romagnola Goldstar della famiglia Silvagni (proprietaria anche di Valleverde), di dimensioni ben minori. Che però, citata in giudizio più e più volte dalla concorrente teutonica, ha sempre vinto in tribunale: fino alla sentenza della Corte di Giustizia Europea, che ha ribadito l’estraneità dei romagnoli da qualsiasi concorrenza sleale.
Ed Elvio Silvagni, nuovamente vincitore, si è tolto un sassolino dalla scarpa: ha recentemente inviato a tutti i clienti, in Italia e in Europa, una lettera che racconta la vicenda e il suo esito. Trovando immediata eco nella stampa, e numerosi riscontri positivi.


Silvagni, ci racconta in breve come è nata la questione?
Sia noi che Birkenstock, fra le altre cose, produciamo da decenni un particolare tipo di calzatura, una specie di “sandalo” con un battistrada specifico. Ma se per molti anni siamo stati semplicemente concorrenti, rispettandoci, nel 2015 l’azienda tedesca – dopo 25 anni di produzione - ha improvvisamente deciso di brevettare il proprio prodotto: e da quel momento ha fatto causa ad altre aziende europee (fra cui la Goldstar) che pure producevano da sempre calzature di quel tipo.
Noi, come tanti altri, non sapevamo del brevetto: ce ne siamo accorti quando siamo stati citati, e abbiamo dovuto sostenere cause in tutta Europa.

Ma secondo lei, perché Birkenstock si è mossa in quel modo?
Forse era un modo per togliere di mezzo la concorrenza, forse sono cambiati i vertici, forse sono semplicemente prepotenti… Secondo me la concorrenza si può fare in molti modi, questa di certo non è leale. E molte altre aziende sono state costrette a lasciare il campo, a cambiare tipo di suola nei loro prodotti, perché non avevano le possibilità economiche per affrontare cause di questo tipo.
Noi abbiamo avuto il coraggio di tenere duro, anche perché finanziariamente potevamo permettercelo, e abbiamo continuato nella battaglia legale, vincendo sempre.

Così le è venuta l’dea di comunicarlo urbi et orbi…
Eh sì, mi sembrava il minimo. Almeno che il mercato sappia cosa è successo. Abbiamo diramato la notizia due giorni fa, sia in Italia che all’estero, e già ci sono molti riscontri che ci fanno capire come l’esito di questa vicenda faccia piacere a tanti. I prepotenti non piacciono molto.
Anche il mercato interno ci sta premiando: piace l’idea che un piccolo marchio italiano vinca contro un colosso tedesco. Loro sono trenta volte più grandi, e sono stati recentemente venduti a un marchio francese per 4 miliardi: la mia azienda vale un po’ meno, se me ne offrono due la vendo subito (dice ridendo, ndr)

I tedeschi generalmente sono potenti, ma il marchio “made in Italy” vale ancora tanto, nel mondo, in qualsiasi settore. Le sembra che questa vicenda possa essere emblematica al riguardo?
Secondo me, prima di tutto vale il marchio, valgono la professionalità e la qualità dell’azienda, più ancora del fatto che sia o no Made in Italy. Poi, sì, ci sono nazioni che lavorano meglio e altre che lavorano peggio.
In Italia, la nostra fantasia è sempre stata un valore: sul mercato vediamo soprattutto l’innovazione, in ogni campo. Il brand è quello che viene valorizzato di più, nel mondo: e se un brand è Made in Italy, ha ancora un valore…


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