Economia
La Cisl: "Lo smart working non terminerà. Dobbiamo attrezzarci"
Per il segretario Marinelli necessaria una formula contrattuale precisa e nuove tecnologie
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30 maggio 2020 - L'emergenza coronavirus ha portato in primo piano lo smart working "un'esperienza che deve proseguire anche in futuro". Ad affermarlo è il segretario della Cisl Romagna, Francesco Marinelli.
"In questa fase di emergenza - spiega - c’è stata una riscoperta importante per molte imprese che hanno adottato questa modalità di lavoro e che ha portato benefici sia per i lavoratori sia per la produttività delle aziende. Una forma flessibile di organizzazione del lavoro introdotta nella legislazione italiana alcuni anni fa, con l’obiettivo di facilitare l’equilibrio tra lavoro e vita privata dei dipendenti, nonché di ridurre i costi del lavoro e di conseguenza aumentare l’efficienza e la produttività".
Prima dell’emergenza Covid-19 si stima fossero 570 mila i lavoratori in Italia che lavoravano da casa, durante l’emergenza i lavoratori hanno superato i due milioni. "Anche nel nostro territorio romagnolo tante imprese, circa un 30% hanno implementato nell’organizzazione del lavoro la modalità del lavoro agile - sottolinea Marinelli - ma in molti casi non si è trattato di un vero smart working ma di telelavoro e quindi occorre fare chiarezza".
Quello a cui dobbiamo tendere non è il lavoro da casa in emergenza, che finirà non appena la diffusione del virus darà tregua, ma bensì al vero e proprio smart working, con regole ben precise per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro. Per fare ciò è importante capire la differenza tra lo smart working, detto anche lavoro agile, oppure il telelavoro. Nel primo caso è possibile lavorare da dove si vuole, da casa o al parco, è necessario quindi stabilire degli obiettivi concreti e verificabili che il lavoratore deve raggiungere in un determinato periodo; è invece telelavoro quando il lavoratore opera in una sede prestabilita ma diversa rispetto a quella a cui è assegnato, spesso scelto nei casi di disabilità o lontananza dal luogo di lavoro.
Per lavorare in smart working quindi non basta semplicemente un pc, una webcam o un programma di videoconferenza - sottolinea Francesco Marinelli - ma serve lavorare per obiettivi e non più con tempi e luoghi prestabiliti, il che rende chiaro quanto sia necessaria una sua definizione contrattuale ad esempio per quanto riguarda la privacy o la sicurezza sul lavoro. E’ solamente attraverso una disciplina ad hoc e degli accordi sindacali di secondo livello che si potrà davvero gestire questo importante passaggio di cambiamento nell’organizzazione del mondo del lavoro".
"Pertanto – conclude Marinelli – abbiamo la necessità di consolidare questa modalità di lavoro e chiediamo alle imprese del territorio romagnolo di scommettere su un vero cambiamento, che deve essere prima di tutto culturale per costruire a partire dalla contrattazione aziendale un nuovo orizzonte di tutele per il lavoro agile sul versante dell’organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e di sicurezza, certificazione delle competenze, diritto alla disconnessione e diritto alla formazione".
© copyright la Cronaca di Ravenna
"In questa fase di emergenza - spiega - c’è stata una riscoperta importante per molte imprese che hanno adottato questa modalità di lavoro e che ha portato benefici sia per i lavoratori sia per la produttività delle aziende. Una forma flessibile di organizzazione del lavoro introdotta nella legislazione italiana alcuni anni fa, con l’obiettivo di facilitare l’equilibrio tra lavoro e vita privata dei dipendenti, nonché di ridurre i costi del lavoro e di conseguenza aumentare l’efficienza e la produttività".
Prima dell’emergenza Covid-19 si stima fossero 570 mila i lavoratori in Italia che lavoravano da casa, durante l’emergenza i lavoratori hanno superato i due milioni. "Anche nel nostro territorio romagnolo tante imprese, circa un 30% hanno implementato nell’organizzazione del lavoro la modalità del lavoro agile - sottolinea Marinelli - ma in molti casi non si è trattato di un vero smart working ma di telelavoro e quindi occorre fare chiarezza".
Quello a cui dobbiamo tendere non è il lavoro da casa in emergenza, che finirà non appena la diffusione del virus darà tregua, ma bensì al vero e proprio smart working, con regole ben precise per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro. Per fare ciò è importante capire la differenza tra lo smart working, detto anche lavoro agile, oppure il telelavoro. Nel primo caso è possibile lavorare da dove si vuole, da casa o al parco, è necessario quindi stabilire degli obiettivi concreti e verificabili che il lavoratore deve raggiungere in un determinato periodo; è invece telelavoro quando il lavoratore opera in una sede prestabilita ma diversa rispetto a quella a cui è assegnato, spesso scelto nei casi di disabilità o lontananza dal luogo di lavoro.
Per lavorare in smart working quindi non basta semplicemente un pc, una webcam o un programma di videoconferenza - sottolinea Francesco Marinelli - ma serve lavorare per obiettivi e non più con tempi e luoghi prestabiliti, il che rende chiaro quanto sia necessaria una sua definizione contrattuale ad esempio per quanto riguarda la privacy o la sicurezza sul lavoro. E’ solamente attraverso una disciplina ad hoc e degli accordi sindacali di secondo livello che si potrà davvero gestire questo importante passaggio di cambiamento nell’organizzazione del mondo del lavoro".
"Pertanto – conclude Marinelli – abbiamo la necessità di consolidare questa modalità di lavoro e chiediamo alle imprese del territorio romagnolo di scommettere su un vero cambiamento, che deve essere prima di tutto culturale per costruire a partire dalla contrattazione aziendale un nuovo orizzonte di tutele per il lavoro agile sul versante dell’organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e di sicurezza, certificazione delle competenze, diritto alla disconnessione e diritto alla formazione".
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