Cultura
Vortice Cosmico, le curiosità sulla mostra con le opere dell'imolese Andrea Raccagni
Curata da Claudio Spadoni, la mostra sarà visitabile fino al 29 giugno

Opere evocative, gravide di materia, in grado di stupire ed emozionare, sono quelle ammirate ieri pomeriggio dai tanti curiosi e appassionati alla galleria della Fondazione Sabe per l’Arte di Ravenna dove si è tenuta la vernice di “Vortice cosmico”. Una mostra personale dell’artista imolese Andrea Raccagni, a vent’anni dalla sua morte, a cura dello storico e critico dell’arte ravennate Claudio Spadoni, che è stato docente di Storia dell’arte, nonché direttore dell’Accademia di Belle Arti e del Mar di Ravenna. «Non è una antologica – precisa – ma una mostra molto selezionata con circa una dozzina di opere, realizzate dalla metà degli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta, che documentano il suo progressivo passaggio da pittore a scultore. Raccagni è stato un instancabile sperimentatore, un artista eclettico in grado di usare tecniche e materiali diversi, e sarebbe stato problematico esporre opere troppo diverse tra loro senza creare sconcerto».
«Siamo contenti di ospitare la prima mostra a cura di Spadoni – spiega in apertura Norberto Bezzi, fondatore e presidente della galleria insieme alla moglie scultrice Mirella Saluzzo – Sin dall’inizio è membro del nostro comitato scientifico e non ha di certo bisogno di presentazioni a Ravenna e in giro per l’Italia, visto che di recente ha curato ben tre mostre aperte a Imola, Aosta e a Mendrisio in Svizzera». «Ormai lavoro quasi esclusivamente fuori città, si può dire che il mio unico rapporto con Ravenna passi proprio attraverso la Fondazione Sabe. Mi fa molto piacere far parte del comitato scientifico, un gruppo di lavoro molto affiatato», ricorda Spadoni. «La mostra è dedicata a Raccagni, esponente di spicco dell’informale italiano – spiega Pasquale Fameli, direttore artistico della Fondazione Sabe –. Il prossimo appuntamento, un evento collaterale alla mostra, sarà una conferenza sul parallelismo tra due grandi artisti imolesi: Raccagni per l’appunto e Germano Sartelli, di cui è stata inaugurata la mostra “L’incanto della materia” al museo San Domenico di Imola lo scorso 11 aprile, sempre a cura di Spadoni».
«Si tratta di una curiosa coincidenza – afferma il critico Spadoni –, considerando che ho seguito a lungo i due artisti, fino alla loro scomparsa, allacciando anche un rapporto di amicizia, sulla scia dell’eredità ideale del mio professore Francesco Arcangeli e di altri amici». Raccagni nasce come pittore, frequentando gli studi di Tommaso Della Volpe, Anacleto Margotti e Giorgio Morandi, per poi orientarsi gradualmente verso la scultura, affascinato dagli ultimi naturalisti di cui ha parlato Arcangeli in un saggio. «Esordisce con una pittura di ispirazione tonale – spiega Spadoni – ma già marcatamente materica nella seconda metà degli anni Quaranta. La materia è un elemento fondamentale della sua arte, le sue opere evocano la natura grazie all’utilizzo di rampicanti, edere, radici, papaveri, alghe, sassi, sterpi, ecc., in gran parte trovati lungo i fiumi e sentieri imolesi. Ben presto però questa materia diventa non più di evocazione naturale ma tecnologica e poi persino cosmica, nel momento in cui passa a utilizzare i metalli, quali sfere e spirali che lavora con la fiamma ossidrica». Con le sue opere “Liberi” esce definitivamente dal limite del quadro, mostrando la sua capacità di solidificare entità gassose altrimenti inconsistenti. A ispirarlo è stato poi l’incidente di Chernobyl. «Così è nata la serie di “Funghi” – conclude Spadoni –, creazioni che alludevano a una natura ormai trasformata in qualcosa di altro, fino all’elaborazione di sculture che evocavano qualcosa di cosmico e astrale. La sua è una scultura barocca in chiave contemporanea, per certi aspetti ridondante e portata a occupare spazi. I suoi metalli lavorati e traforati hanno perso quel carattere di compattezza e monumentalità della scultura tradizionale, disperdendo la plasticità come fosse una dispersione fisica».

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