Truffa su contributi Covid, 3 denunce e 840mila euro sequestrati | la CRONACA di RAVENNA

Truffa su contributi Covid, 3 denunce e 840mila euro sequestrati

Operazione dei militari della Guardia di Finanza

01 giugno 2022 - Dovranno rispondere dell’ipotesi di reato di illecita percezione di erogazioni pubbliche e di truffa aggravata a danno della banca che ha materialmente erogato il prestito pari a 840mila euro, oltre che di false comunicazioni sociali e di autoriciclaggio. Si tratta dell'ex amministratore e di due nuovi soci di una azienda ravennate. Uno dei due soci è anche indagato per truffa a danno dell'ex titolare.


I militari della Guardia di Finanza, infatti, al termine di un controllo sui finanziamenti alle piccole e medie imprese garantiti dallo Stato, hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ravenna, su richiesta della Procura della Repubblica.

Il decreto è stato emesso in seguito alle indagini svolte dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Ravenna, che hanno preso avvio da alcune segnalazioni per operazioni sospette che evidenziavano movimenti anomali sui conti di un’azienda ravennate operante da vent’anni nel settore delle forniture per ristoranti e alberghi, beneficiaria a giugno 2020 di un importante finanziamento pari a 840mila euro, ottenuto con la procedura semplificata prevista dalla normativa emergenziale a beneficio delle imprese in crisi di liquidità per l’emergenza da Covid-19.

In effetti, dagli accertamenti bancari eseguiti è emersa un’attività di svuotamento continuo delle casse aziendali a beneficio, diretto e indiretto, di due soggetti da poco subentrati nella compagine sociale attraverso un passaggio di quote risalente al mese di agosto 2020, cioè solo due mesi dopo l’ottenimento del finanziamento pubblico.

Contemporaneamente, l’ex socio unico dell’impresa ha presentato al Gruppo della Guardia di Finanza di Ravenna una formale denuncia in cui lamentava di essere stato raggirato da presunti consulenti aziendali che lo avrebbero prima indotto a richiedere il finanziamento agevolato per poi rilevare le quote societarie di sua proprietà, senza però pagarne il prezzo. Anzi, appena acquisita formalmente la titolarità della società, i due consulenti avrebbero cambiato velocemente atteggiamento, estromettendolo di fatto dalla gestione commerciale, contrariamente agli accordi presi.

Mettendo insieme gli elementi indiziari emersi dagli approfondimenti investigativi è emerso, dunque, come, secondo la tesi accusatoria, l’ottenimento del finanziamento Covid fosse stato solo una parte di un più esteso disegno delittuoso, ricostruito dallo stesso giudice per le indagini preliminari.
Secondo il gip, il precedente legale rappresentante e socio unico dell’impresa aveva formalizzato una richiesta di finanziamento basata su dati contabili falsi per dimostrare una situazione di crisi dovuta all’emergenza sanitaria, in realtà inesistente, e di ottenere il valore massimo finanziabile, per poi diventare lui stesso vittima di una truffa da parte dei consulenti aziendali che lo avevano indotto a richiedere il prestito, i quali lo avevano allettato a cedere loro le quote della società così rimpinguata di liquidità, promettendogli un prezzo sicuramente soddisfacente, ma poi non onorato.

Anzi, dai controlli successivi è emerso che l’acquisto della società finanziata, che aveva una liquidità di cassa complessivamente superiore al milione di euro, era stata operata attraverso una società bolognese con un capitale sociale sottoscritto ma mai versato e a sua volta controllata da una società bulgara non patrimonializzata: in pratica, attraverso due scatole vuote su cui sarebbe stato impossibile rivalersi.

Nel frattempo i nuovi soci hanno provveduto a svuotare la cassa sociale giustificando contabilmente le uscite con pagamenti a fornitori in realtà non registrati in contabilità, con l’acquisto di partecipazioni in società, anche queste inesistenti o ancora con bonifici verso la controllante o con distribuzione di ipotetici dividendi.

Ora, però, sia l’ex amministratore, che ha formalmente richiesto il finanziamento, che i due consulenti, che hanno poi rilevato la società, dovranno rispondere dell’ipotesi di reato di illecita percezione di erogazioni pubbliche e di truffa aggravata a danno della banca che ha materialmente erogato il prestito.
I due nuovi soci, subentrati nella gestione sociale, sono inoltre accusati di truffa aggravata nei confronti dell’ex legale rappresentante, mentre solo uno dei due, l’attuale amministratore unico della società, è accusato anche di false comunicazioni sociali e di autoriciclaggio.

Il sequestro preventivo eseguito dalle Fiamme Gialle ravennati ha quindi riguardato 540mila euro circa di disponibilità finanziarie rinvenute sui rapporti bancari personali e delle società riconducibili ai tre indagati, e € 300mila circa in immobili e terreni.


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