L'autonomia economica, la vera libertà delle donne | la CRONACA di RAVENNA

L'autonomia economica, la vera libertà delle donne

Studio della Cgil in occasione della giornata mondiale contro la violenza

22 novembre 2021 - «Non si uscirà mai dal 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, se non si penserà anche all’autonomia economica, oltre che alla protezione della donna».
Queste le accorate parole con cui Carmelina Fierro, consigliera di parità della Provincia di Ravenna, esprime una riflessione che è anche una speranza per il prossimo futuro, al termine della presentazione dei primi risultati dell’indagine “Che genere di somministrazione”, curata dall’Università di Urbino insieme a Ires Emilia Romagna.

La ricerca è stata promossa da Nidil Cgil e dalle consigliere di parità di Ravenna, Rimini e Reggio Emilia, per indagare sulle condizioni di lavoro e sulle forme di discriminazione presenti nel lavoro in somministrazione nel territorio in una prospettiva di genere.
I dati, che sono di tipo intermedio e quindi ancora non definitivi, derivano da questionari inviati in via telematica a iscritti che hanno lavorato in somministrazione e da alcune interviste di approfondimento rilasciate. Istituito con il decreto legislativo del 10 settembre 2003 n. 276, entrato in vigore nell’ottobre dello stesso anno, il contratto di somministrazione del lavoro prevede tre soggetti: l’azienda che ha bisogno di manodopera, l’agenzia autorizzata a fornire manodopera e i lavoratori somministrati.
«Va detto anzitutto – spiega Serena Savini, segretaria generale del Nidil Cgil Ravenna – che la somministrazione è una parte del lavoro che ha subito le conseguenze della pandemia.

A pagare il maggior calo di occupazione sono soprattutto le donne. La ricerca solleva altre due considerazioni. La prima è che un contratto di somministrazione solo raramente porta a qualcosa di stabile e le poche volte che capita, coinvolge più gli uomini, il 22% contro appena il 13% delle donne. Per cui non è un grande strumento di inserimento lavorativo ma di precarietà.
La seconda riguarda invece la mancata applicazione del principio di parità del trattamento retributivo fra lavoratori somministrati e lavoratori dipendenti diretti: la retribuzione media annua lorda dei primi è il 54,4% in meno della media del lavoro dipendente.

Questo dipende in parte dal numero inferiore di giornate lavorate ma anche da una retribuzione lorda giornaliera più bassa del 16,4%. Fra i lavoratori somministrati poi le donne guadagnano annualmente il 33,7% in meno degli uomini, perché hanno una retribuzione giornaliera dell’11,7% in meno e lavorano il 24,6% di giornate in meno».

Fierro ha poi presentato i dati più significativi della ricerca, relativi al 2020. «In provincia di Ravenna – afferma –, Ebitemp-Inail stimano una media annuale di 3.208 lavoratori in somministrazione, di cui il 29,6% donne. Il lavoro in somministrazione è calato del 12,9%, quello delle donne del 13,3%.
La caduta più importante ha riguardato le donne straniere, con un meno 23%, mentre per gli uomini stranieri non si va oltre il 15,7%.

Una situazione quest’ultima che però differenzia nettamente la provincia di Ravenna da quelle di Rimini e Reggio Emilia. A Rimini il calo riguarda più gli uomini stranieri mentre a Reggio Emilia si registra al contrario un aumento del 2,5% del lavoro straniero femminile. Una questione sulla quale val la pena indagare ulteriormente. Il lavoro part-time è poi principalmente femminile: a Ravenna il 51,25, a fronte del 15,4% maschile. Questo significa che permane il maggior carico di cura familiare delle donne che, un domani, prenderanno una pensione più bassa con un più alto rischio povertà».

Differenze sono state osservate anche durante il colloquio con l’agenzia di somministrazione: al 48% delle donne sono state poste domande sulla condizione familiare (matrimonio, figli, anziani, etc.), mentre solo al 23% delle donne è stato chiesto cosa pensano delle prospettive di carriera, una percentuale che sale al 42% invece per gli uomini. Le lavoratrici risultano più insoddisfatte dei lavoratori in somministrazione per la mancanza di crescita professionale e di programmabilità di vita futura. Negli uomini infine prevale una visione strumentale del lavoro, visto in chiave economica, e non come modalità di realizzazione della propria persona, come avviene fra le donne. r.b.


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