“Troppi morti nelle case di riposo. Rivedere accreditamenti e convenzioni”. Intervista a Graziano Casamenti | la CRONACA di RAVENNA

“Troppi morti nelle case di riposo. Rivedere accreditamenti e convenzioni”. Intervista a Graziano Casamenti

Il referente della Fnp Cisl Ravenna: “Intervenire anche su Pronto soccorso e carenza di personale"

17 dicembre 2020 - Mentre la prima ondata del Covid-19 ha toccato Ravenna in maniera relativamente contenuta, la seconda vede moltiplicarsi i contagi e continua a mietere vittime numerose. Il momento è grave in generale, ma lo è in special modo per gli anziani che risiedono nelle case di riposo, all’interno delle quali il virus è responsabile di un increscioso numero di decessi.

Per denunciare questa situazione “insopportabile” e cercare di correre ai ripari si sono mossi congiuntamente i sindacati – Cgil, Cisl e Uil con le rispettive categorie di lavoratori in pensione Spi Cgil, Fnp Cisl e Uil pensionati – che questa mattina hanno emesso un comunicato in cui esprimono la loro preoccupazione; inoltre, propongono di “aprire una riflessione finalizzata all'intensificazione dei controlli sull'applicazione dei protocolli di sicurezza”, che si sospetta siano stati ampiamente disattesi per varie ragioni. Su questi temi abbiamo chiesto un approfondimento a Graziano Casamenti (nella foto all'interno), referente Fnp Cisl Ravenna.


Graziano Casamenti, c’è un dubbio giustificato sul mancato rispetto delle norme di sicurezza nelle case di riposo?
“La nostra preoccupazione è proprio questa, perché non si capisce un’espansione della pandemia così pesante in questa seconda fase. Nella prima eravamo andati meglio, ma ora andiamo malissimo: tutti i giorni riscontriamo dati allarmanti. In città il numero dei contagi è altissimo e non si capisce come il virus riesca a infiltrarsi anche in strutture che, se le regole fossero rispettate, dovrebbero essere quasi immuni e, invece, non lo sono per niente.

Il timore è che si sia voluto risparmiare sul personale, sugli operatori sanitari, prendendo gente anche poco preparata per spendere meno. Siamo preoccupati sia per la sanità privata sia per quella pubblica: pensi che due giorni fa al Pronto soccorso dell’Ospedale di Ravenna c’erano cinquanta persone che occupavano letti e barelle, per la stragrande maggioranza anziani. Qualcuno è rimasto lì tre o quattro giorni, il che non mi pare ottimo per persone di ottanta o novant’anni.

È un insieme di cose che stiamo denunciando da tempo: per quanto riguarda il Ps di Ravenna, è chiaro che non è adeguato e non sono io a sostenerlo, ma lo dice anche il direttore generale dell’Ausl Romagna, Tiziano Carradori. Il Ps è stato inaugurato nel 2012, non è vecchissimo, ma si vede che il progetto non è stato dei migliori e già si parla di ristrutturarlo. Non è efficace in tempi normali, ma con la pandemia la situazione è degenerata, chiaramente".

Nel caso del Pronto soccorso c’è quindi anche un problema di sede, ma in particolare per le case di riposo, secondo i sindacati, la questione è sul numero e sulla preparazione del personale. Quali sono le misure che vorreste fossero attuate?
“Noi chiediamo che siano rivisti i vari accreditamenti e le convenzioni per la gestione di queste strutture, con i relativi parametri. Pensiamo che non tutti i parametri siano stati rispettati, che ci siano state delle carenze e soprattutto mancanza di controlli.
Bisogna costituire un tavolo per valutare bene che cosa ci sia da correggere e che cosa manchi. In Regione si sta puntando sull’emettere direttive che siano uguali per tutti i territori, che finora sono andati ciascuno un po’ per conto proprio. Il confronto deve quindi avvenire con l'amministrazione regionale, con quella comunale, con l’AUSL e i sindacati; si dovrebbero convocare anche i vari gestori delle strutture, perché credo che un confronto sia necessario anche con loro, per verificare se abbiano capito gli errori che sono stati commessi. I dati sono più che allarmanti e c’è una generazione che se andiamo avanti così sparisce".

Se nel confronto serrato con tutti i responsabili che voi auspicate si decidessero delle misure nuove, lei pensa che ci sarebbe il denaro sufficiente per riuscire a effettuarle?

“Be’, i soldi bisogna tirarli fuori. Io non entro nel merito politico perché non mi interessa in questa sede, ma il problema di fondo è che con i quattro miliardi proposti, adesso passati a nove, non si può riuscire a fare la riforma necessaria all'interno delle strutture sanitarie e quant'altro. Come minimo ci vogliono i trentasei o trentasette miliardi che il Mes avrebbe messo a disposizione. È quella la cifra, perché è più o meno quanto è stato tagliato negli ultimi dieci anni: sono stati tolti trentasette o trentotto miliardi di euro alla sanità, sia come personale sia come fondi, e ora ne paghiamo le conseguenze.
Adesso tutti si lamentano, ma noi già cinque o sei anni fa criticavamo il numero chiuso al Corso di laurea in Medicina, denunciavamo le mancate assunzioni di infermieri nelle varie strutture ospedaliere o la mancanza di rinnovo dei contratti dei dipendenti sanitari, specialmente nelle case di cura private dove ci sono voluti dieci anni per firmare un altro contratto. Per questi dieci anni di tagli alla sanità ora paghiamo, ma ognuno dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. E quando manca il personale è difficile rimediare, un rianimatore non si forma in un giorno".

La carenza di personale, infatti, è un altro problema drammatico.
“Sì, manca il personale, bisogna avere il coraggio di dirlo. Di infermieri c'è una forte carenza e allora appena escono dall’università bisogna inserirli, non far loro dei contratti di sei mesi a tempo determinato. È successo anche questo: molti infermieri arrivavano in una sede, ci stavano per sei mesi e poi, quando avevano imparato, andavano via perché avevano terminato il contratto. Questa è cattiva gestione.
Poi c’è un’altra figura importante, oltre ovviamente ai medici senza i quali non si può far niente, ma per un medico ci vogliono sette o otto anni di studi, nemmeno lui si forma dal giorno alla notte. L’altra figura è quella dell’operatore socio-sanitario. Tempo fa si tenevano corsi gratuiti, mentre ora chi vuol diventare operatore socio-sanitario deve pagarsi da solo il corso che costa circa millecinquecento o duemila euro. Non tutti lo fanno, e allora in certe strutture si prendono persone che hanno studiato in maniera raffazzonata, che non hanno la preparazione adeguata".

È una situazione che non penalizza solo gli anziani malati di Covid.
“Infatti, bisogna ricordare che non c’è solo il Covid. Corriamo il pericolo che altre patologie, come i tumori, le sindromi cardiocircolatorie e il diabete siano trascurate. Rinviare di sei mesi o di un anno un esame per una persona che ha un cancro può essere fatale. In definitiva, dobbiamo fare tutto il possibile per rimediare alle carenze che si sono viste in questi nove o dieci mesi. Non basta parlare, bisogna fare, perché altrimenti la gente continua ad ammalarsi e a morire. Io ho più di settant’anni, mi batto per cercare di difendere i miei coetanei".

Patrizia Luppi


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