L'Ausl: «No al ripristino dei reparti Covid» | la CRONACA di RAVENNA

L'Ausl: «No al ripristino dei reparti Covid»

Alla richiesta della Uil, l'azienda risponde che «la maggior parte dei pazienti ricoverati adesso, accede per motivi diversi, tra cui la riacutizzazione di malattie croniche, traumi, fratture, malattie acute di ambito specialistico»

13 luglio 2022 - Al significativo aumento del numero dei casi, anche sul nostro territorio, come su tutto il territorio nazionale, legati alla cosiddetta variante Omicron BA.5, a differenza del passato non corrisponde lo stesso impatto in termini di ricoveri ospedalieri. Attualmente all’ospedale di Ravenna sono presenti circa 50 pazienti covid +, a fronte di 563 posti letto. Inoltre, gli attuali pazienti ricoverati hanno un bisogno assistenzile diverso rispetto a quelli delle ondate precedenti.
«Questi elementi – dichiara l’Ausl Romagna - presi insieme, sono alla base delle scelte organizzative e logistiche adottate dall’Azienda», che non è d’accordo con la Uil sul ripristino dei “reparti Covid” ritenendolo «improprio rispetto alle caratteristiche dell’attuale fase epidemica e ostacolante un’assistenza ospedaliera pertinente e specifica ai bisogni di salute che determinano il ricovero».
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«Anche in presenza di un aumento di ricoveri, in questa fase, non si ha – spiega l’Ausl - una proporzionale necessità di gestire pazienti con insufficienza respiratoria in terapia subintensiva e terapia intensiva come nelle ondate precedenti, questo grazie all’immunità (che i pazienti hanno acquisito con la vaccinazione, la malattia o entrambe) che è in grado di prevenire in larga parte la malattia grave.
La maggior parte dei pazienti ricoverati adesso, accede per motivi diversi, tra cui la riacutizzazione di malattie croniche, traumi, fratture, malattie acute di ambito specialistico».

Per l’Ausl il ricovero deve essere «prioritariamente e prevalentemente determinato sulla base delle necessità assistenziali e non dalla eventuale positività di SARS-CoV-2.
Per queste ragioni si è proceduto in due direzioni complementari: da una parte l’individuazione dei reparti che devono garantire assistenza a pazienti con Covid-19 in cui la sintomatologia prevalente è caratterizzata da interessamento polmonare (malattie infettive, pneumologia e terapia intensiva) e, dall’altra, a privilegiare il principio del bisogno assistenziale primario del paziente, per assicurare la risposta più appropriata al suo percorso di cura.
Questo modello ha l’obiettivo di garantire a un malato, che ad esempio entra in ospedale per una frattura di femore, un percorso idoneo a prescindere dal rilievo della sua positività all’ingresso in ospedale».

La concentrazione dei malati Covid in aree dedicate, come suggerisce la Uil, «avevano senso in un periodo in cui i pazienti presentavano in prevalenza problemi di insufficienza respiratoria; le esigenze sono attualmente cambiate e i malati con infezione da SARS CoV-2 possono avere una polmonite, un infarto del miocardio, un diabete scompensato ecc… e devono essere presi in carico dagli specialisti di riferimento».

Infine, per ciò che riguarda la sicurezza degli operatori e dei pazienti ricoverati, i dati del bollettino aziendale settimanale non evidenziano segnali di allarme, «infatti – commenta l’Ausl - la percentuale degli operatori sanitari positivi sul numero totale dei nuovi casi, rimane costante tra il 2 e il 2.5 % e il numero dei focolai all’interno delle strutture ospedaliere non ha subito alcun aumento, nonostante in queste settimane l’incidenza territoriale stia aumentando esponenzialmente, segno indiretto che l’ospedale non è un luogo dove si acquisisce l’infezione in misura maggiore rispetto al territorio, ma il contrario».




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