Zehra Doğan alla presentazione del libro del Ravenna Festival | la CRONACA di RAVENNA

Zehra Doğan alla presentazione del libro del Ravenna Festival

La trentunenne artista e giornalista curda con cittadinanza turca sarà oggi alle 10 alla Sala Corelli del Teatro Alighieri. La sua incarcerazione ha mobilitato il mondo

02 luglio 2020 - «Non poter disegnare, non avere accesso al mio materiale, per me è un’altra forma di tortura» ha scritto Zehra Doğan in una lettera dal carcere.
La trentunenne artista e giornalista curda con cittadinanza turca, che sarà oggi alle 10 alla Sala Corelli del Teatro Alighieri per la presentazione del libro del Ravenna Festival (ingresso libero), è stata imprigionata per la prima volta nel 2016 e poi di nuovo fino al 2019 proprio a causa di un disegno: un’opera che rivelava troppo, da lei pubblicata sui social media. Era la testimonianza della distruzione della città di Nusaybin, dopo un assedio militare che il potere turco avrebbe voluto interdire alla stampa.

Per Zehra Doğan c’è stata una mobilitazione internazionale sostenuta, tra gli altri, da Banksy che le ha dedicato un enorme murale a New York. Il pubblico televisivo italiano l’ha conosciuta nella trasmissione Che tempo che fa condotta da Fabio Fazio

e oggi, qui a Ravenna, è possibile incontrarla di persona, ascoltare le sue parole e ammirare le sue opere intense e drammatiche, alcune delle quali pubblicate nel libro del Festival nell’ampia sezione dedicata alla Siria, per poi assistere domani a una sua performance artistica con la musica della cantante Aynur Doğan, anch’essa curda.

L’indomita artista e giornalista parteciperà infatti al concerto delle Vie dell’amicizia, in programma il 3 luglio a Ravenna e il 5 a Paestum.
Dedicata alla Siria e in particolare a due vittime dell’Isis, l’attivista Hevrin Khalaf e l’archeologo Khaled al-Asaad, l’esecuzione della Sinfonia n. 3 “Eroica” di Beethoven, diretta da Riccardo Muti con l’Orchestra giovanile Luigi Cherubini e musicisti della Syrian Expat Philharmonic Orchestra, sancirà il forte impegno umanitario del Ravenna Festival.

Un impegno che fin dalla prima edizione delle Vie dell’Amicizia, che quest’anno giungono alla trentunesima, si è concentrato nel portare e dedicare musica sublime ai popoli di regioni della Terra colpite da conflitti, da sciagure o comunque bisognose di sostegno. Perché la musica è un bene immateriale, ma affratella gli uomini, e la solidarietà sorregge nella sofferenza.

Patrizia Luppi

Zehra Doğan 
Artista e giornalista curda con cittadinanza turca è nata nel 1989 a Diyarbakir, sulle sponde del fiume Tigri nel sud-est della Turchia, dove si è diplomata in Arte e Design all’Università Dicle.

È tra le fondatrici dell’agenzia stampa JINHA, la prima composta interamente da donne, chiusa per decreto in seguito alle leggi speciali emanate dal governo turco nel 2016. Grazie al suo lavoro da giornalista sul campo, nel 2015 le è stato attribuito il Premio “Metin Göktepe”, intitolato al giornalista morto dopo essere stato torturato nel 1996 dalla polizia – il Premio è assegnato a giornalisti che “difendono l’integrità della professione resistendo alle pressioni e agli ostacoli”.
Nel caso di Zehra, le è stato conferito per aver portato alla luce la storia delle donne Yazide, la minoranza considerata eretica da Daesh nel nord dell’Iraq, che ha subito l’eliminazione fisica, la riduzione alla schiavitù, la vendita di donne e bambini al mercato internazionale dei corpi da parte dell’autoproclamato Califfato.

Il 21 luglio 2016 viene arrestata e imprigionata per più di quattro mesi in attesa di giudizio a causa di un disegno e di alcuni articoli scritti durante il conflitto a Nusaybin. L’assedio militare della città turca, a maggioranza curda (era presente fino al 2016 una piccola minoranza assira, ora ne è rimasta un’unica famiglia), era stato precluso ai giornalisti: poi, nel marzo 2017 un report dell’ONU sarà stilato sulla base delle immagini da satellite.
Secondo quel rapporto, tra i 355.000 e 500.000 abitanti sono dovuti fuggire dall’area e il 70% degli edifici è stato raso al suolo. Il numero dei morti e dei feriti è imprecisato. In quel periodo 
Doğan decide di seguire direttamente le vicende per poterle in qualche modo raccontare, ma firma così la sua sentenza.

Liberata nel dicembre 2016, viene sottoposta a processo il 23 febbraio 2017: viene definitivamente condannata a 2 anni e 9 mesi di prigione. Dal 12 giugno 2017 è detenuta nella prigione femminile di Amed fino al trasferimento forzato a quella di massima sicurezza di Tarso. È stata liberata il 24 febbraio 2019 e dal marzo successivo è residente a Londra, invitata da English PEN.

Durante la sua incarcerazione, l’artista cinese Ai Weiwei, il PEN club internazionale e Amnesty International hanno sostenuto una campagna internazionale per la sua liberazione come prigioniera d’opinione ingiustamente incarcerata. L’artista Banksy le ha dedicato un immenso muro, il Bowery Wall, a New York.

Nel novembre del 2017, l’associazione svizzera Frei Denken le ha assegnato il Freethinker Prize, insieme alla giornalista persiana Masih Alinejad e nel maggio 2018 la Deutscher Journalisten Verband (l’Ordine dei giornalisti tedesco) le ha riconosciuto il Premio Spring of Press Freedom: premi che, in entrambi i casi, non ha potuto ritirare perché ancora in carcere.
Può finalmente ritirare però, nell’aprile 2019 a Londra, il Premio Index on Censorship Freedom of Expression per la sua opera artistica. E nel maggio di quello stesso anno la Tate Modern ospita una sua installazione: è in quella occasione che l’artista dichiara che, pur riconoscendo l’importanza che le sue opere vengano esposte nel museo inglese, il suo desiderio principale è di poterlo fare nella propria terra d’origine, cosa al momento impossibile.

L’11 ottobre 2019 è stata insignita del Premio della Fondazione May Chidiac a Beirut Exceptional Courage in Journalism Award. Il mese successivo esce in Francia il suo libro Nous aurons aussi de beaux jours (Avremo anche giorni migliori) per l’Edition de Femmes, a cui si ispira il titolo della mostra di sue opere allestita recentemente a Brescia.



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