RAVENNA FESTIVAL / Il concerto di Muti, un rito dal significato unico | la CRONACA di RAVENNA

RAVENNA FESTIVAL / Il concerto di Muti, un rito dal significato unico

Lo spettacolo si è aperto con l’Inno d’Italia, che è risuonato specialmente toccante in questo contesto

22 giugno 2020 - È stato un rito quello che si è compiuto sotto le stelle del cielo ravennate, tra le mura antiche della Rocca: il rito consueto, che si ripete a ogni concerto, ma che in questo caso ha assunto un significato più profondo, unico.
La serata del 21 giugno, con l’inaugurazione del Ravenna Festival, ha segnato un nuovo inizio dopo l’incubo della pandemia; ha rivolto un messaggio al mondo intero da parte di una città che, come Riccardo Muti ha dichiarato in apertura del concerto, è apparentemente piccola, ma è stata tre volte capitale, possiede tesori inestimabili, otto dei quali dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità, è ben consapevole del suo passato e conserva tutto il suo ardore.

Con un officiante di raro carisma e di sapienza straordinaria come Muti, il rito si è svolto al più alto livello in tutte le sue componenti. Di grande qualità la prova dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, duttile, precisa e compatta nonostante il disagio provocato dalla distanza obbligata tra i musicisti e dai leggii singoli, invece che a due, che rendevano complicato anche il semplice gesto di girare le pagine di musica.
Ammaliante il soprano Rosa Feola, voce tornita dal timbro caldo, impeccabile nei passi di agilità e finemente espressiva nel cogliere il carattere delle pagine mozartiane che ha interpretato, dall’esuberante invito alla gioia del mottetto “Exsultate, jubilate” K 165, composto da un Mozart appena diciassettenne, all’estatica contemplazione della nascita di Cristo in “Et incarnatus est”, che è parte della sublime Messa in do minore K 427.

Su tutto, la maestria di Riccardo Muti, che tra i pilastri della sua fama mondiale conta proprio l’eccellenza delle interpretazioni mozartiane; Muti ha creato incantevoli equilibri sonori tra l’Orchestra e Rosa Feola nei due brani con il soprano (da citare, oltre agli impeccabili archi, i fiati altrettanto inappuntabili e tra questi in particolare il primo flauto, Viola Brambilla, e il primo oboe, Linda Sarcuni) e ha scolpito la Sinfonia n. 41 K 551, la “Jupiter”, in un vivido rapporto tra i piani sonori, sottilmente calibrato, e con un’eloquenza che onorava in pieno la grandezza olimpica del brano; quella che ha ispirato a posteriori il nome della Sinfonia, intitolata al re degli dei.

Il concerto si era aperto con l’Inno d’Italia, che è risuonato specialmente toccante in questo contesto, di una rinascita che si estende a tutto il Paese; in apertura di programma si è ascoltata invece la Rêverie op. 24, prima breve pagina sinfonica composta nel 1898 dal russo Aleksandr Skrjabin. Un brano di avvolgente atmosfera tardoromantica, il cui titolo significa sogno oppure sogno a occhi aperti, posto al principio della serata per simboleggiare quel sogno che abbiamo vissuto e che, come Muti ha dichiarato, «speriamo che diventi una nuova, bella e positiva realtà».

Entusiasta il pubblico, che si era conteso i 300 posti disponibili all’interno della Rocca Brancaleone e che comprendeva alcune delle maggiori autorità dello Stato e degli enti locali: la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, il ministro dei Beni e attività culturali e del Turismo Dario Franceschini, il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, l’assessore regionale Andrea Corsini, il sindaco di Ravenna Michele De Pascale e, con loro, il direttore del distretto centro settentrionale dell’Eni Alberto Manzati e Audrey Azoulay, direttore generale dell’Unesco, visibilmente commossa alla fine della serata.

Il concerto, alla cui prova generale abbiamo assistito venerdì 19, è stato il primo diffuso in diretta streaming su ravennafestival.live, in collaborazione con Riccardo Muti Music.

Patrizia Luppi


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