Sollima: "L'inferno non ci ha mai mollato e non ci mollerà mai". INTERVISTA | la CRONACA di RAVENNA

Sollima: "L'inferno non ci ha mai mollato e non ci mollerà mai". INTERVISTA

Il compositore e violoncellista domani sera presenterà il suo nuovo lavoro su Dante scritto per il Ravenna Festival

GIOVANNI SOLLIMA
09 giugno 2021 - I compositori d’oggi per la Divina commedia: nell’omaggio a Dante del Ravenna Festival, che si estenderà per tutta la programmazione di quest’anno, la musica del nostro tempo avrà un posto speciale, con le commissioni a tre affermati autori dalle differenti scelte stilistiche.
Giovanni Sollima, che il pubblico di Ravenna ben conosce da anni, domani sera alla Rocca Brancaleone sarà il primo a presentare in prima assoluta il suo lavoro, ispirato all’Inferno; seguiranno a luglio Tigran Mansurian con il Purgatorio e Valentin Silvestrov con il Paradiso.
I “Sei studi sull’Inferno di Dante” di Sollima, che traggono spunto dalle musiche del lontano passato come dalla tradizione popolare, saranno interpretati dal controtenore Raffaele Pe e dal compositore stesso al violoncello, con l’Orchestra Cherubini diretta dall’estone Kristjan Järvi e il Coro della Cattedrale di Siena “Guido Chigi Saracini”.
Il programma della serata comprende anche musiche di Bach, di Järvi e un altro brano di Sollima, al quale abbiamo rivolto alcune domande sul nuovo lavoro.


Giovanni Sollima, quali legami individua tra la musica popolare e l’Inferno dantesco?

“C’è una cosa che mi ha colpito fin dall'infanzia: ricordo che mio nonno recitava la Commedia praticamente a memoria e ne intercalava citazioni nel suo normale parlare. Tuttora molti anziani, come lui, la conoscono bene e mi ha sempre affascinato questa presenza nella cultura popolare, quella della vita quotidiana, nella quale l’opera di Dante si è radicata in modo profondo. Ho indagato a lungo anche sulle traduzioni antiche della Commedia e ce n'è per esempio una in dialetto calabrese in cui viene rispettato in modo maniacale l’endecasillabo.
La radice popolare è quella che lega un luogo, un monumento, una presenza, un testo, un modo di pensare alle tradizioni. Lì si stratifica e diventa un altro tipo di approccio, parallelo a quello colto, legato allo studio o all'analisi di un testo. Esiste dunque quest'altra realtà che ha un respiro diverso ed è rifacendomi a essa che ho concepito alcuni brani di questo lavoro come se fossero delle canzoni popolari”.

Come mai ha scelto un controtenore come protagonista vocale dei “Sei studi”?

“Volevo prima di tutto evitare un approccio naturalistico o troppo narrativo, quindi ho scelto di non ricorrere a una voce grave, dal timbro minaccioso. La mia intenzione era di mettere in rilievo l'aspetto umano dell’Inferno, perché esiste: c'è tanto dolore e anche tanta umanità in molti momenti della narrazione che ne fa Dante.
Poi ho inteso raccontare alcuni luoghi, presenze, incontri come Dante li raccontava, come se fossero visti dai suoi occhi. Non potevo fare a meno di trattare l’episodio di Paolo e Francesca e li ho uniti in una sorta di canzone quasi psichedelica, nella quale non si capisce chi canti cosa: c’è una voce maschile, ma è acuta, borderline in quanto al ruolo. Insomma, volevo qualcosa che fosse in contrasto con l'immaginario normalmente legato alla rappresentazione dell’Inferno, nel quale io vedo anche, paradossalmente, qualcosa di angelico.
La voce del controtenore, che ha qualcosa di super naturale, è ideale per questo. Raffaele Pe canta in tre brani su sei e sono quelli di carattere più intimo e più metafisico”.

Esiste un inferno contemporaneo? Ce n’è traccia nella sua composizione?

“Guardi, l'inferno non ci ha mai mollato e non ci mollerà mai. Ce lo siamo ritrovati con un virus, ce lo ritroviamo anche, in piccolo, cercando noi stessi. Non credo che l’inferno contemporaneo sia dissimile da quello delle epoche passate e future, però è, come dire, testimoniato dal flusso costante di informazioni che in realtà potrebbero invece aiutarci, che dovrebbero innescare una serie di riflessioni. Non so se si ritrovi nella mia musica, anche se penso che ovviamente chiunque, in un lavoro creativo, rifletta ciò che gli arriva dalla vita, da ciò che vede.
L’inferno contemporaneo è la lentezza con cui affrontiamo il problema legato all'ambiente e al pianeta, è la velocità nel passaggio dei segnali, dei messaggi, delle informazioni che dobbiamo decodificare. È una presenza con la quale dobbiamo entrare in relazione”.

Patrizia Luppi


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