Cultura
Dacia Maraini: "La bellezza di questa città? Etica, non estetica". L'INTERVISTA
La scrittrice ha presentato alla Classense il libro 'Trio'
Del nuovo libro la scrittrice ha parlato alla Biblioteca Classense stamattina, in dialogo con Matteo Cavezzali nell’incontro che concludeva il ciclo Scritture di Frontiera, e ha toccato anche numerosi altri argomenti che hanno avvinto e a tratti commosso o divertito il pubblico ravennate.
A partire dall’esperienza della fame, quella vera, patita negli anni dell’infanzia trascorsi in un campo di concentramento giapponese perché il padre etnologo, Fosco Maraini, e la madre pittrice di nobilissima famiglia, Topazia Alliata, si erano rifiutati di aderire alla Repubblica di Salò ed erano quindi diventati traditori del Giappone alleato con l’Italia.
Per proseguire con i ricordi di Alberto Moravia che fu a lungo suo compagno, di Pier Paolo Pasolini, tanto dolce e mite nella vita quanto duro e polemico su certi temi nella scrittura, e della Roma letteraria degli anni ’70, quando a differenza di oggi gli intellettuali si riunivano in un caffè o in una trattoria solo per il piacere di ritrovarsi e conversare. E altri temi ancora, trattati sempre con garbo, acutezza e senso dell’umorismo.
Dopo l’incontro alla Classense (la registrazione del quale è sulla pagina Facebook Festival delle Culture Ravenna Partecipa), organizzato nella Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione, Dacia Maraini ha accettato di rispondere alle nostre domande. Per questa sera alle 21 la scrittrice ha in programma un altro appuntamento, sempre con Matteo Cavezzali, al Palazzetto dello Sport di Lugo.
Dacia Maraini, lei che ha vissuto finora nel nome della libertà e dell’apertura, tra viaggi, conoscenze e acquisizioni sempre nuove, come ha vissuto il periodo di isolamento a causa del Covid-19?
“Durante le giornate bene, perché sono abituata a stare da sola in casa a scrivere, quindi la chiusura non costituiva una difficoltà particolare. La sera, però, quando finivo di lavorare mi mancava il poter vedere gli amici o andare a teatro come al solito. Certo, sono stata emotivamente colpita e impressionata dalle storie e dalle immagini di tutti quei morti. Anche se non ho preso la malattia, non ho potuto non partecipare all’orrore e alla sofferenza che hanno colpito tanti altri. Dal punto di vista emotivo, quindi, è stato un trauma, però ho conservato un equilibrio anche grazie al lavoro".
Per esperienza personale e attraverso la sua straordinaria famiglia, che conta numerosi artisti e intellettuali, è entrata in contatto con mondi molto diversi, dal Giappone all’Africa all’Islam e altri ancora. Crede nella possibilità di una conciliazione tra culture differenti?
Patrizia Luppi
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